Un piccolo servizio settimanale di commento del Vangelo . Sono semplici riflessioni, che non vogliono esaurire tutta la ricchezza dei testi biblici, o offrire esaurienti studi esegetici. Si propongono solo di aiutare la preghiera e aprire all’impegno. LA PRETESA DEI FARISEI Maestro, noi vorremmo vederti fare un segno (Mt 12,38) Ancora una volta Matteo ci presenta i Farisei in opposizione dialogica con Gesù. E' vero, lo chiamano 'maestro', ma solo per accattivarsene la sua benevolenza, il loro vero scopo è metterlo in difficoltà e additarlo come un falso maestro. Questa volta chiedono un segno, un miracolo particolare, che possa dimostrare se Dio è con lui. Eppure di miracoli Gesù ne ha già fatti tanti, ha dato vista a i ciechi, ha dato parola ai muti, ha guarito dalla lebbra. Ma questi Farisei vogliono che il prodigio si ripeta dinanzi a loro, credono poco alle parole di chi testimonia di avere riacquistato vista e parola da Gesù. Intanto notiamo come questo Gesù rende libere le persone, vuole che vedano, vuole che parlino. Nel capitolo IX Matteo ci narra proprio la guarigione di due ciechi e di un muto, oggi, con tanto perbenismo, diremmo di due non-vedenti e di un audioleso. Ma i Farisei pensano di vederci bene e invece sono i veri ciechi, non vedono l'opera di Dio in mezzo a loro, vogliono solo vedere un segno prodigioso. Come se Gesù fosse un giocoliere che si presti al giudizio di questi spettatori. E qui Gesù diventa sprezzante: 'generazione malvagia e adultera!'. Malvagia, perchè si accosta con intenti malevoli; adultera perchè non si attiene alla verità che pure è sotto gli occhi di tutti. Gesù non si offre come spettacolo a chi cerca spettacoli. Mai alcun miracolo può cambiare la mentalità e l'agire di questi dottori della legge. Gesù lo sa. Il miracolo non serve per dimostrare qualcosa, il miracolo che compie Gesù serve per liberare persone, per rendere libero l'essere umano. Ma ci sarà un grande evento che tutti potranno e dovranno conoscere: la sua morte e la sua resurrezione. E' il segno del profeta Giona. Strana figura quella del profeta Giona. Siamo intorno al VII secolo a.C. il popolo ebraico è tornato in Palestina, finalmente libero dopo il periodo di schiavitù in Babilonia, l'odierno Iraq. Ma Dio chiede a Giona di tornare proprio lì, specificatamente a Ninive. Non so come sia arrivato a Giona questo ordine da parte di Dio, di certo c'è che questo profeta ne sente la perentorietà, ma ha paura e parte, ma dalla parte opposta, e si imbarca verso la Spagna, così anziché verso oriente si dirige verso occidente. Una tempesta mette in difficoltà i marinai dell'imbarcazione, ognuno prega il suo Dio , e Giona dorme. Lo svegliano e lo invitano a pregare il suo Dio per scampare dal naufragio. Ma come può Giona rivolgersi al Dio da cui fugge? Buttano a mare ciò che non è essenziale, per alleggerire il carico. Ma il problema è Giona: lui stesso racconta la sua storia, i marinai cercano di salvarlo fino alla fine, ma poi, dopo avere chiesto scusa a Dio, lo buttano a mare. La furia del vento subito cessa. Un grosso cetaceo subito inghiotte il povero Giona. E dalla pancia del grosso pesce si innalza la sua preghiera, non chiede espressamente liberazione, ma confessa che la salvezza viene dal Signore, e si dichiara pronto a servirlo nel tempio. Dopo tre giorni e tre notti Giona viene vomitato vivo su una riva. Ora è pronto a servire il Signore, va a testimoniare la sua fede a Ninive e a portarvi addirittura un messaggio di condanna, invitando i suoi abitanti a convertirsi dalla loro peccaminosa condotta. Sappiamo che perfino il re si cosparge di cenere, segno di penitenza, e tutto il popolo accetta la testimonianza di Giona, cambiando stile di vita e convertendosi a Dio. Un primo messaggio che possiamo ricevere da questa storia è il fatto che la conversione di Ninive non avviene a seguito di un qualche prodigio, ma a seguito di una testimonianza forte da parte del profeta Giona. I farisei conoscono bene questa storia, la insegnano nel Tempio. E E ora Gesù coglie l'occasione di questa disputa per annunciare qualcosa di inaudito, il vero prodigio che tutti conosceranno. Starà nel ventre del grande cetaceo che è la morte, ma dopo tre giorni ne uscirà vivo, vittorioso e trionfante. Ora è il tempo della predicazione per i credenti. Sembra una pazzia pensare che la predicazione possa portare sapienza e liberazione. Eppure predicare significa anche avere fiducia nelle capacità logiche dell’uomo, perché predicare non significa vaneggiare, ma rendere regione della nostra fede e delle nostre certezze. Paolo nella prima lettera ai Corinzi scrive così: Poiché il mondo non ha conosciuto Dio mediante la propria sapienza, è piaciuto a Dio, nella sua sapienza, di salvare i credenti con la pazzia della predicazione. I Giudei infatti chiedono miracoli e i Greci cercano sapienza, ma noi predichiamo Cristo crocifisso, che per i Giudei è scandalo, e per gli stranieri pazzia; ma per quelli che sono chiamati, tanto Giudei quanto Greci, predichiamo Cristo, potenza di Dio e sapienza di Dio; poiché la pazzia di Dio è più saggia degli uomini e la debolezza di Dio è più forte degli uomini. Ecco il tema della nostra predicazione: la croce, che ha prodotto morte, ma anche il suo superamento mediante la resurrezione. Qui sta la potenza di Dio, che noi annunciamo, e anche la sua debolezza, nell’essersi chinato fino all’uomo e averne avuto misericordia. Ma la sua debolezza è più forte degli uomini, come ci ha detto Paolo, l’apostolo di una predicazione veramente ecumenica, nel senso della sua destinazione culturale e salvifica rivolta a tutti gli uomini. Torniamo al testo della nostra meditazione. Prima o poi tutti compariremo davanti al giudizio di Dio. E i Niniviti, ravveduti attraverso la predicazione di Giona, saranno segno di condanna per i Farisei che non si ravvedono davanti alla predicazione dello stesso Gesù. E qui c’è veramente più che Giona! Altro che miracoli e prodigi: quello che Gesù chiede è la conversione, un atteggiamento di umiltà, una presa di coscienza che ci riduca alla verità del nostro essere carenti di fede, carenti di amore, carenti di speranza. Questo nostro tempo è tempo di grandi afflizioni. Il Giappone sappiamo come è stato devastato da terribili terremoti e maremoti. Le centrali nucleari spaventano tutti i continenti, con la fuga dei loro materiali radioattivi. Nei paesi africani a noi vicini si lotta e si muore per un pezzo di pane e per un pezzo di libertà. Anche da noi molti soffrono per la disoccupazione dei giovani e per la crisi economica che soffoca tante famiglie. Come credenti che facciamo? E’ sempre l’apostolo Paolo a darci la sua ricetta, nella lettera ai Romani, che abbiamo letto: Noi ci gloriamo anche nelle afflizioni, sapendo che l’afflizione produce pazienza, la pazienza esperienza, e l’esperienza speranza. E la speranza non delude… Certi di questa speranza, che è il fondamento della nostra fede, partecipiamo al dolore di tutta l’umanità, leniamo le ferite di chi ci vive accanto, testimoniamo l’amore di Dio ai nostri amici e ai nostri nemici. In definitiva amiamo e viviamo col cuore grande di Dio. Questo Gesù chiedeva ai Farisei, questo chiede oggi a noi. Amen.
"Lasciate che i piccoli..." Nel mondo greco-romano del tempo di Gesù, i fanciulli non godono di molta considerazione in quanto sono visti come "materiale grezzo da formare" e da educare . Nel popolo di Israele i bambini, pur vivendo in una situazione sociale migliore rispetto al mondo greco-romano, non hanno particolare importanza: gli Israeliti non li idealizzano, né accordano loro speciale attenzione come individui Infatti i due mondi, quello greco-romano e quello Palestinese, si influenzano a vicenda nella vita sociale. Fuori casa e fuori della scuola occuparsi di un bambino è considerato dagli ebrei come una perdita di tempo. Per un rabbino, poi, accarezzare ed abbracciare i bambini è un avvilire la propria dignità ). Quindi anche i discepoli di Gesù sono figli di questo modo di pensare. Anzi, c’è un momento, e questo lo attestano i Vangeli, in cui provocano l’indignazione del Maestro, il quale dimostra chiaramente che davanti a Dio i "piccoli", i bambini, vengono prima dei grandi, degli adulti. Un modo di pensare e di giudicare, quello di Gesù, che stupisce i suoi stessi amici: Gli presentavano dei bambini perché li accarezzasse ma i discepoli li sgridavano. Gesù, al vedere questo, s'indignò e disse loro: < Ma c’è un altro brano evangelico che aiuta a fare luce sull’atteggiamento rivoluzionario di Gesù rispetto ai bambini. E’ presente nei Vangeli di Matteo, Luca e Marco. Noi leggiamo quest’ultimo riflettendo sul rapporto "grande" - "piccolo" proposto da Gesù e scoprendo, ancora una volta, che davanti ai suoi occhi Divini i piccoli sono più grandi degli adulti: "Giunsero intanto a Cafarnao. E quando fu in casa, chiese loro: < C’è, infine, un terzo episodio avvenuto nel tempio di Gerusalemme e registrato nel Vangelo secondo Matteo: "Gesù entrò poi nel tempio e scacciò tutti quelli che vi trovò a comprare e a vendere; rovesciò i tavoli dei cambiavalute e le sedie dei venditori di colombe. Gli si avvicinarono ciechi e storpi nel tempio ed egli li guarì. Ma i sommi sacerdoti e gli scribi, vedendo le meraviglie che faceva e i fanciulli che acclamavano nel tempio: < |
BRICIOLE DALLA MENSA
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