oggi la gente ha la caratteristica pericolosa dei vecchi: non ha più sete!
Non va più al pozzo della sua cultura, non si pone più le domande fondamentali, non interpella più chi porta con sé risposte che non esasperano la sete;
quella sete che è la salvezza per l’uomo: per superare il deserto con i suoi miraggi, con i suoi dissetanti che intossicano perfino la religione e l’amore come per la donna al Vangelo.
Conversione è ritornare al “pozzo” dove veniamo a sapere che vi giunge anche per questa chiesa vecchia che siamo noi e questa cultura che si è stufata di cercare e sperare e affoga nell’acqua inquinata.
È lì che “giunge” Gesù, al pozzo di Giacobbe, quello ha dissetato tutto un popolo in cammino verso la salvezza, il popolo della speranza. Lì la nostra sete intellettuale, affettiva, religiosa, esistenziale incontra la sete di Dio: Colui che, solo, può essere risposta al nostro essere domanda e può darci un’acqua che toglie la sete di eternità, del “per sempre” da mettere nella nostra precarietà, ha “sete”, vuole aver sete di quella libertà che ci aveva dato per avere un interlocutore intelligente come vertice della creazione ed un “collaboratore” per dare un orientamento spirituale, divino, sapienziale a tutta la creazione: alla scienza, all’arte, alla religione e ha avuto come risposta il tentativo non ancora esauritola parte dell’umanità di una autonomia assoluta da Dio.
“Va’ a chiamare tuo marito”.
Quanti amori ingannevoli hanno sostituito lo “sposo” che ora è lì al pozzo, e qui, è lui che ci ha attratti al “pozzo” della sua parola: “Sono io che ti parlo”.
Convertirsi per aver salva la vita e dissetare le tante seti l’attraversano per farci andare “oltre” è convertirsi: ritornare a dialogare, ascoltare, entusiasmarsi di Cristo. La domanda a cui tanti anche oggi non riescono a dare risposta: “Il Signore è in mezzo a noi, sì o no?”
Quante volte mi è successo!
Davanti alla fede, preferiamo discutere di religione.
E Gesù ci sta, la asseconda. No, non è Garizim il luogo dove adorare Dio. E forse nemmeno Gerusalemme.
Dio va adorato nello spirito e in verità.
Domanda ingenua, quella della Samaritana: il tempio dei samaritani era stato raso al suolo dagli ebrei un secolo prima. E, comunque, lei, pubblica peccatrice, non avrebbe potuto mettervi piede.
E Gesù la rassicura: Dio la sta cercando ovunque,
Vacilla, la donna.
Chi è questo maschio ebreo che le promette il dono della felicità, che le offre rispetto, che esige autenticità assoluta?
La risposta gliela dà Gesù stesso: Io sono. Jahwé.
La brocca resta a terra, vuota. Il cuore, invece, è pieno.
La pubblica peccatrice, la ragazza fragile, la donna facile, ora corre dalle persone che fuggiva e il suo limite diventa occasione di annuncio: c'è uno che mi ha letto la vita, che sia lui il Messia?
I samaritani sono straniti: che dice questa poco di buono?
Vanno, e vedono.
L'acqua è vita, energia di vita, grazia che io ricevo quando mi metto in connessione con la Fonte inesauribile della vita. Gesù dona alla samaritana di ricongiungersi alla sua sorgente e di diventare lei stessa sorgente. Un'immagine bellissima: un'acqua che tracima, dilaga, che va, un torrente che è ben più di ciò che serve alla sete. La sorgente non è possesso, è fecondità. «A partire da me ma non per me». La samaritana abbandona la brocca, corre in città, ferma tutti per strada, testimonia, profetizza, contagia d'azzurro e intorno a lei nasce la prima comunità di discepoli stranieri.
La donna di Samaria capisce che non placherà la sua sete bevendo a sazietà, ma placando la sete d'altri; che si illuminerà illuminando altri, che riceverà gioia donando gioia. Diventare sorgente, bellissimo progetto di vita per ciascuno: far sgorgare e diffondere speranza, accoglienza, amore.
« Perciò, chi pensa di stare in piedi,
guardi di non cadere ».
(Rif. Prima Epistola ai Corinzi Cap.10 verso 12)
Davanti alla fede, preferiamo discutere di religione.
E Gesù ci sta, la asseconda. No, non è Garizim il luogo dove adorare Dio. E forse nemmeno Gerusalemme.
Dio va adorato nello spirito e in verità.
Domanda ingenua, quella della Samaritana: il tempio dei samaritani era stato raso al suolo dagli ebrei un secolo prima. E, comunque, lei, pubblica peccatrice, non avrebbe potuto mettervi piede.
E Gesù la rassicura: Dio la sta cercando ovunque,
Vacilla, la donna.
Chi è questo maschio ebreo che le promette il dono della felicità, che le offre rispetto, che esige autenticità assoluta?
La risposta gliela dà Gesù stesso: Io sono. Jahwé.
La brocca resta a terra, vuota. Il cuore, invece, è pieno.
La pubblica peccatrice, la ragazza fragile, la donna facile, ora corre dalle persone che fuggiva e il suo limite diventa occasione di annuncio: c'è uno che mi ha letto la vita, che sia lui il Messia?
I samaritani sono straniti: che dice questa poco di buono?
Vanno, e vedono.
L'acqua è vita, energia di vita, grazia che io ricevo quando mi metto in connessione con la Fonte inesauribile della vita. Gesù dona alla samaritana di ricongiungersi alla sua sorgente e di diventare lei stessa sorgente. Un'immagine bellissima: un'acqua che tracima, dilaga, che va, un torrente che è ben più di ciò che serve alla sete. La sorgente non è possesso, è fecondità. «A partire da me ma non per me». La samaritana abbandona la brocca, corre in città, ferma tutti per strada, testimonia, profetizza, contagia d'azzurro e intorno a lei nasce la prima comunità di discepoli stranieri.
La donna di Samaria capisce che non placherà la sua sete bevendo a sazietà, ma placando la sete d'altri; che si illuminerà illuminando altri, che riceverà gioia donando gioia. Diventare sorgente, bellissimo progetto di vita per ciascuno: far sgorgare e diffondere speranza, accoglienza, amore.
Sottolineo solo un’ultima cosa: incontriamo in questo testo, nei confronti dell'umanità peccatrice, un particolare tipo di Messia. Gesù non ha detto niente sullo stato di peccato di questa donna: non vi è un suo commento. E’ un Messia che non condanna, che non punta il dito accusatore, né che rimprovera o stigmatizza: anche per questo il dialogo continua e la relazione non si interrompe.
E’ un Dio che sa entrare nell’interiorità delle persone, soprattutto degli ultimi, e che sa parlare al loro cuore, suscitando il desiderio di conversione, senza condannare: un Dio davvero capace di relazione
guardi di non cadere ».
(Rif. Prima Epistola ai Corinzi Cap.10 verso 12)
Chi si trova detenuto in qualche carcere è consapevole di aver commesso un errore, sa di essere caduto nel peccato e che da questa caduta è sempre difficile rialzarsi. Difficile perché nella nostra società, che si definisce cristiana, certi errori non si pagano solo con il carcere, ma anche con il marchio d'infamia che provoca discriminazione e isolamento che accompagnano quell'individuo e la sua famiglia per tutta la vita. L’apostolo Paolo, nel testo della Bibbia citato, si rivolge ai cristiani e li mette in guardia nel loro atteggiamento di persone «giuste». Tu, che pensi di non sbagliare, tu che sottovaluti i tuoi errori, fai attenzione perchè anche tu sei soggetto a cadere. Tu, che pensi di non arrivare mai a sbagliare in maniera così grave da andare in prigione, non pensare che il tuoi fallimenti e sbagli non siano altrettanto gravi, ma essi provocano sofferenza alla tua coscienza e dolore a colui che è in relazione con te.
Ora a te, caro amico che sei caduto, ricorda: «DIO TI OFFRE LA POSSIBILITA' DI RIALZARTI», proprio come chi è ammalato ha la possibilità di curarsi e guarire. Tu che hai sbagliato puoi ricevere da Dio l’aiuto, il perdono e la possibilità di ricominciare con una nuova vita.